La nostra
Storia e la
nostra
“mission”
Non è semplice spiegare in poco spazio quello che per noi ha rappresentato un percorso fatto di impegno pratico ma soprattutto di grande coinvolgimento emotivo, che dura, per alcuni di noi, ormai da diversi anni.
Alla fine del 1998, il sistema DCA del ASL di Reggio Emilia, nato da poco tempo, ci invitò a partecipare ad un gruppo di incontri psico-educativi organizzati per i familiari di pazienti con DCA.
La maggior parte di noi non immaginava neppure di cosa si sarebbe trattato. Sapevamo solo una cosa: era, per molti di noi, la prima possibilità che ci veniva offerta per uscire dall’isolamento che sentivamo rispetto al problema che aveva “travolto” le nostre famiglie. Potevamo finalmente contarci, scoprire di non essere “i soli”, confrontarci con altri che vivevano una storia simile alla nostra e conoscere qualcosa in più rispetto alla patologia dei nostri figli.
Alla fine degli incontri previsti, tutti noi, manifestammo il desiderio di proseguire questa esperienza fatta di incontri durante i quali si scopriva che “parlare con gli altri” aiutava a placare le ansie e a trovare conforto.
Abbiamo continuato a ritrovarci, una volta al mese, per quasi un anno senza nessuna formalità, maturando però progressivamente l’idea di “fare qualcosa di più”.
Il 27 maggio 2000, dopo un lavoro di preparazione durato alcuni mesi, abbiamo ufficialmente presentato alla città il nostro gruppo di genitori che era diventato l’Associazione “BRICIOLE” con una sua sede, uno statuto ed una regolare iscrizione all’Albo Provinciale del Volontariato.
Il nostro scopo iniziale era sostanzialmente quello di aiutarci a costruire una rete di solidarietà che ci permettesse (a noi e a tutti i familiari coinvolti dal problema) di affrontare giorno per giorno i cambiamenti radicali che avvengono in una famiglia nel momento in cui uno dei suoi componenti inizia a manifestare un disturbo del comportamento alimentare.
Ci siamo messi in discussione, e molti di noi continuano a farlo, nei nostri incontri mensili. All’inizio, a questi incontri, erano presenti a turno anche alcuni dei componenti del nostro Comitato Tecnico Scientifico.
Il ritrovarci ci ha sicuramente aiutato ad uscire dall’isolamento, abbiamo imparato a conoscere la malattia, a confrontarci ed anche a scontrarci ma tenendo sempre presente che tutti avevamo uno scopo comune.
Siamo consapevoli che la prevenzione più efficace dovrebbe essere fatta molto precocemente perché è uno stile di vita che deve cambiare. Da un lato, noi adulti, siamo i primi portatori di una cultura dell’immagine e dall’altra parte cresciamo i nostri figli, come “piccoli imperatori” a quali non sappiamo dare strumenti adeguati per affrontare quelle difficoltà e imprevisti che prima o poi la vita ti presenta.
Il nostro motto: “Anoressia, bulimia….parliamone” riassume anche la filosofia che ha ispirato le nostre prime iniziative. Noi sappiamo che conoscere significa anche fare prevenzione e per questo ci sentiamo sempre molto motivati quando qualche scuola ci invita a parlare della nostra esperienza con i nostri figli. Fondamentale nella preparazione e anche nel corso di questi interventi nel mondo della scuola sono stati i supporto cognitivi di una nutrizionista, Nicoletta Dallai e della psicologa Roberta Barozzi che esperte della patologia collaborano con la nostra Associazione.
Purtroppo i tempi della terapia sono lunghi e non sempre le risposte delle strutture pubbliche ci sono sembrate pienamente soddisfacenti. Comprendiamo che il medico o l’operatore sono condizionati nella loro attività, da tanti vincoli: economici, burocrati e quant’altro, ma a volte i livelli di sofferenza all’interno di alcune situazioni ci sono apparsi così elevati che ci hanno spinto ad iniziare a fare qualcosa non solo per i familiari ma anche direttamente per le ragazze e i ragazzi con DCA.
Cerchiamo così di discutere insieme o a piccoli gruppi i casi “più particolari” per decidere che tipo di aiuto possiamo dare, sia alla famiglia, che alla ragazza. E’ successo che le richieste di aiuto arrivassero anche da gruppi amicali preoccupati per le condizioni di una di loro. Insieme abbiamo parlato e pensato a diversi possibili interventi e ci siamo ripromessi di valutare gli eventuali sviluppi a distanza di qualche tempo.
In alcune situazioni, alcuni di noi, si sono resi disponibili a svolgere la funzione di “tutor” per la ragazza che affronta un ricovero o che vive un momento particolarmente difficile.
I casi seguiti con questa modalità hanno sicuramente avuto aspetti positivi per entrambe le parti in causa. Le ragazze, che in tutti i modi ci identificano come “persona adulta”, si rapportano più facilmente con chi non rappresenta la “figura genitoriale” con tutti i conflitti e i coinvolgimenti emotivi che questo ruolo porta con sé. Tuttavia la cosa più sorprendente resta sempre l’effetto positivo che questa esperienza ha portato a noi. Scoprire che una ragazza ti ascolta, si confida, ti chiede e accetta aiuto da te, ti fa sentire bene e serve a mitigare un po’ di quel senso di colpa o di quel “sentirsi genitore inadeguato” che ognuno di noi, in fondo, continua a nascondere in un “angolo del proprio sentire interiore”.
Infine, rimane sempre davanti a noi quello che è il nostro obiettivo più grande... Noi familiari stiamo camminando lentamente su una strada fatti di piccoli, ma speriamo significativi, cambiamenti ed i nostri figli, a loro volta, procedono faticosamente su un loro cammino. Ebbene tutto il nostro “fare” ha come traguardo finale quello di incontrare, nuovamente, su una strada comune, le nostre figlie o i nostri figli per proseguire poi certamente vicino a loro, ma un passo indietro perché avranno imparato a vivere autonomamente la loro vita.
Non è questo in fondo quello che si augura ogni genitore?
Noi ci crediamo….vogliamo crederci.